The 21st century has seen neuroscience develop rapidly and a new academic discipline emerge: neuroethics, the attempt to explain moral judgment in partly neurobiological terms. It is useful to distinguish between fundamental neuroethics, researching how knowledge of the brain’s functional architecture and its evolution can deepen our understanding of moral thought and judgment, and applied neuroethics, dealing with ethical issues that arise, e.g. in neuroimaging techniques, cognitive enhancement or neuropharmacology. Neuroethics inspires hope as well as apprehension and historic awareness is essential in order to determine the nature and raison d’être of this young research area. The aim in this presentation is to present neuroethics together with a dynamic model of the human brain and mind upon which neuroethics can fruitfully be constructed.

Historically speaking, threats to scientific freedom have come from religious or political forces. Notably, the sciences of mind were blocked for centuries by the catholic dogmas, e.g. of the human immaterial soul. However, during the 20th century, the threats to this part of scientific development did not primarily come from religious forces, but from science itself. When at long last, by the end of the 19th century, mind science was at last free to study the human brain and mind, mind science developed psychophobia.

Scientific theories about human nature and mind in the 19th and 20th centuries were occasionally caught in two major traps: ideological hijacking and psychophobia, notably in the form of naïve eliminativism, and naïve cognitivism. To avoid them, neuroethics needs to build on the sound scientific and philosophical foundations of informed materialism, that (1) adopts an evolutionary view of consciousness as an irreducible part of biological reality, an evolved function of the brain and a suitable object of scientific study; (2) acknowledges that adequate understanding of conscious, subjective experience must take both subjective information obtained by self-reflection and objective information obtained from anatomical and physiological observations and measurements into account; and (3) depicts the brain as a consciously and unconsciously autonomously active, plastic, projective and narrative organ evolved in socio-cultural-biological symbiosis; and (4) posits emotion as the hallmark of consciousness. Emotions made matter awaken and enabled it to produce a dynamic, flexible and open mind. As depicted by informed materialism, the neuronal person is truly awake, in the deepest sense of the word.
The relevance of neuroscience to explaining the evolution of moral thought presupposes a model of the mind and the brain that takes variability, emotions and creative thinking into account. According to informed materialism, the brain is a variable, selectional system in which values are incorporated as necessary constraints. Biologically speaking, no creature with a brain is born value-free; it is neurobiologically predisposed to develop these complex and varied systems of values that enable it to function in its physical and social environments. In this model, the human propensity for passing moral judgment and capacity to perform free and responsible moral choices do not only make logical and practical sense but are biologically unavoidable for adult, healthy individuals. The theoretical and methodological relevance of neuroscience to ethics is strong and fast developing. According to the theory of neuronal epigenesis, socio-cultural and neuronal structures develop symbiotically with mutual causal relevance. The architecture of our brains determines our social behaviour including our moral dispositions, which influences the types of society that we create, and, vice versa, our socio-cultural structures influence the development of our brains. This is compatible with the position that norms cannot logically be derived from facts on pain of committing the “naturalistic fallacy�?. A major challenge of fundamental neuroethics is to decipher this network of causal connections between the neurobiological and the socio-cultural perspectives; to evaluate the “universal�? values pre-specified in our genome and shared by the human species, in distinction from those that stand related to a given culture or symbolic system. The “fallacy�? of the naturalistic approach thus becomes inverted into a responsibility.

ITALIAN VERSION:
“Verso una Filosofia per la Neuroetica: Materialismo informato e la Responsabilità naturalsitica�?

di Kathinka Evers, Centro per l’Etica della Ricerca e la Bioetica, Uppsala, Svezia

Il XXI secolo ha visto un rapido sviluppo della neuroscienza e la nascita di una nuova disciplina accademica: la neuroetica, ossia il tentativo di spiegare una parte del giudizio morale in termini di neurobiologia. È bene distinguere anzitutto tra neuroetica fondamentale, ossia la ricerca su come la conoscenza dell’architettura funzionale del cervello e la sua evoluzione ci possano aiutare a capire meglio il pensiero e il giudizio morale, e la neuroetica applicata, che affronta le questioni etiche sollevate dalle nuove tecniche di neuroimaging, dal miglioramento cognitivo o dalla neurofarmacologia.

La neuroetica genera tanta speranza quanta apprensione; la consapevolezza storica è essenziale per determinare la natura e la ragion d’essere di questa nuova area di ricerca. Obiettivo di questa presentazione è presentare la neuroetica assieme ad un modello dinamico del cervello e della mente umana su cui essa possa proficuamente essere costruita.

Storicamente, minacce alla libertà scientifica sono venute da forze politiche e religiose. È noto che le scienze della mente per secoli sono state ostacolate da dogmi cattolici, come quello dell’immaterialità dello spirito dell’uomo. Tuttavia, nel corso del XX secolo, le principali minacce a questa parte dello sviluppo scientifico non sono venute dal potere religioso, bensì dalla scienza stessa. Quando, dopo molto tempo, alla fine del XIX secolo, la scienza della mente è stata finalmente libera di studiare il cervello e la mente umana, essa ha sviluppato però la psicofobia.

Le teorie scientifiche sulla natura umana e la mente nel XIX e XX secolo si sono a volte imbattute in due principali trappole: quella del “dirottamento�? ideologico e quella della psicofobia, nelle forme dell’ingenuo eliminativismo e dell’ingenuo cognitivismo. Per non cadere in queste trappole la neuroetica deve costruire solide fondamenta filosofiche e scientifiche di un materialismo informato che adotti una visione evolutiva della coscienza come una parte irriducibile della realtà biologica, quale funzione sviluppata del cervello e adeguato oggetto di studio scientifico; riconosca che un’adeguata comprensione dell’esperienza soggettiva consapevole deve tener conto sia dell’informazione soggettiva, quale risultante dall’auto-riflessione, sia dell’informazione oggettiva ottenuta attraverso osservazioni psicologiche e anatomiche e misurazioni; rappresenti il cervello come organo, consciamente e inconsciamente, autonomamente attivo, plastico, proiettivo e narrativo che si è evoluto in una simbiosi socio-culturale-biologica; infine consideri l’emozione come garanzia della coscienza. Le emozioni risvegliarono la materia e la resero capace di produrre una mente dinamica, flessibile e aperta. La persona neuronale, così come delineata dal materialismo informato, è veramente sveglia, nel senso più profondo della parola.

La rilevanza della neuroscienza nello spiegare l’evoluzione del pensiero morale presuppone un modello della mente e del cervello che tenga conto della variabilità, delle emozioni e del pensiero creativo. Secondo il materialismo informato, il cervello è un sistema selezionale variabile in cui i valori sono incorporati come costrizioni necessarie. Dal punto di vista biologico, non c’è creatura con un cervello che nasca senza valori; essa è neuro-biologicamente predisposta a sviluppare questi svariati e complessi sistemi valoriali che la rendono capace di funzionare nei suoi ambienti fisici e naturali. In questo modello, la propensione naturale ad emettere giudizi morali e la capacità di fare scelte morali libere e responsabili non solo è logica e sensata, ma è biologicamente inevitabile in individui sani, adulti.

Quanto la neuroscienza sia rilevante per l’etica sia da un punto di vista teoretico che metodologico sta emergendo con decisione e rapidità. Secondo la teoria dell’epigenesi neuronale, le strutture socio-culturali e neuronali si sviluppano in simbiosi ed hanno rilevanza causale reciproca. Infatti, l’architettura dei nostri cervelli determina il nostro comportamento sociale, incluse le nostre disposizioni morali, che influenzano il tipo di società che costruiamo, e, viceversa, le strutture socio-culturali influenzano lo sviluppo dei nostri cervelli. Ciò è compatibile con la posizione per cui le norme non possono essere logicamente derivate dai fatti se non a costo di cadere nella cosiddetta “fallacia naturalistica�?. La principale sfida della neuro-etica fondamentale è decifrare questa rete di connessioni causali tra prospettive neurobiologiche e socio-culturali e determinare i valori “universali�? pre-specificati nel nostro genoma, e condivisi dalla specie umana, distinguendoli da quelli che sono dati da una certa cultura o sistema simbolico. La “fallacia�? dell’approccio naturalistico si trasforma così in responsabilità.

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